sabato 31 gennaio 2009

Io ballo da sola (forse è meglio di no...)















Me la devo piantare di andare all'avventura per i locali la sera. Da sola. O meglio, il sabato pomeriggio verso le 17.30-18.00, che qua, tra l'altro, è già notte inoltrata: perché c'è il Football. Finché si tratta di incontrare dei pacifici settantenni preoccupati che la mia abitazione sia abbastanza vicina e che sia di ritorno a casa non troppo tardi (la domenica sera) è una cosa; il pub con i tifosi è un'altra. Entro in questo pub, Eldon, che il martedì diventa un pretesto per scambi interculturali tra studenti erasmus (non fate la battuta adesso...), e vedo soltanto uomini. Ubriachi. Non ricordo di aver mai finito una birra a quella velocità. In due si fiondano per offrirmi da bere "No, grazie", ovviamente!, parlano e non capisco un fico secco perché sbiascicano. Ai tre John la loro birra era avanzata e io avevo offerto loro i miei pistacchi! Qui mi sono presa maluccio. Poverini, magari non avrebbero mai fatto niente di male. Ma poi per fortuna è arrivato il gol, così sui miei tacchettini sono corsa di fila a casa.

Quando facevo la cameriera a Lambrate, se ci penso, lavoravo in un'alcova di delinquenti. Staccavo alle due di notte, quando Franco metteva su i video porno della cugina famosa Sonya Ice, con R. che mi veniva a prendere per andare a giocare a carte, o peggio, mi portava a qualche suo appuntamento in cui avrei dovuto dimenticare le facce dei presenti. Mi sembrava tutto un lungo racconto ispirato a Pulp Fiction, purtroppo morti compresi. Ma in quel caso, fortunatamente, non ho mai conosciuto nessuno personalmente, solo un figlio di tossici, appena nato per sua fortuna. Ero l'amica del "boss", mi volevano tutti bene, avevo la protezione di tutti, potevo girare nuda di notte ubriaca e fatta che nessuno mi avrebbe toccata con un dito. Il "boss" in realtà era solo un poveraccio, grasso e strabico, figlio di operai, orfano di padre, col fratello morto di cancro ai polmoni perché ripuliva con le polveri acide le facciate dei palazzi del centro. E fumava tre pacchi di Malboro rosse al giorno, rimanendoci un bel giorno secco. Mi piaceva però stare lì, in mezzo a loro e alle puttane (una solo): aveva di 17 anni, russa e bionda, gli occhi di ghiaccio; andava con "Geppetto", lo chiamavo così io, un nanerottolo di settanta anni e più con il riporto e i capelli tinti che mi diceva "io, a te, con due Viagra ti faccio vedere l'inferno!", "Sta' 'tento te sa 'cle pilluline, ch'an giorn a l'altr' ce 'rmani sech!" Povero Geppetto, che scassava i marroni col suo uovo in tegamino "né troppo cotto né troppo crudo", che tanto i cuochi egiziani della rinomata cucina sarda facevano come gli pareva a loro.
Geppetto diceva di essere un imprenditore, e se per caso lo sentiva Teresa "Ma che imprenditore di sta minchia, quello ha fatto il muratore tutta la vita!" Aveva due figli, mi pare, grandi, era rimasto vedovo e solo, così ebbe la bella pensata di portarsi in Italia sta ragazzetta russa. A lui è andata meglio di Ivo. Povero Ivo! Una sera si era portato in casa due ragazze conosciute chissà dove e il giorno dopo gli avevano fregato tutti i soldi della pensione.
Quante storie si dividevano tra le vie Saccardo e Conte Rosso. Ed io le conoscevo tutte. Mi sentivo un po' Polly Anna, ero l'anima santa del quartiere che quando la mattina usciva tutti salutavano. Poi le voci giravano anche su di me, perché di me non hanno saputo mai niente, a parte che facevo l'Università di Lettere (e per loro ero l'intellettuale - specie dopo la Vergine Cuccia - e avevo sempre l'ultima parola!), e le più accreditate erano che fossi omosessuale o che fossi la "donna" di R. per la cocaina. Se ci penso, un po' mi viene anche da ridere. Le pareti del bar non smettevano mai di mormorare... di D. che era omosessuale perché ha festeggiato un capodanno solo con una donna e non era successo niente; di T. che era lesbica pure lei perché non l'hanno mai vista con un uomo (ha 73 anni pure lei, magari sta bene per i fatti suoi!); di N. che lavora col padre che non gli da un soldo ma solo le bastonate; di M., un becchino della concorrenza sulla destra di via Saccardo, (morto anche lui, un anno fa, per un male strano) che andava con i travestiti...
Ecco che Rimembranze di Lambrate esisteva già come come film prima che Almodovar divenisse un regista di fama internazionale. Si sarebbe innamorato di C. che non si laureò mai in Giurisprudenza perché rimase incinta, cleptomane (di rossetti e libri, con una predilezione per il Diritto Penale) e di Silvia, alcolizzata delle case occupate, con un po' di figli, ignoti i padri, e di Matteo Sandrini, lo "scemottino" del quartiere, che nel bel mezzo di una accesa diatriba condominiale, tra demani e subappalti, prese parola perché i piccioni gli cagavano sul balcone.

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